Ci sono diversi motivi per apprezzare questo splendido, ma duro, fosco romanzo.
Innanzitutto il tema: il perturbamento.
Poi la narrazione, lo sviluppo della storia che ti avviluppa in un crescendo di vicende in cui i tipi umani, le loro sofferenze, le malattie che li consumano sono metafore dell’essere e dello spirito umano, ci riguardano da vicino perché trascendono il singolo personaggio, descrivono la condizione umana in sé, al di là del tempo e del luogo in cui la storia è ambientata.
Infine la scrittura.
Il perturbamento del titolo non è solo quello del protagonista-narratore, giovane studente universitario, che in uno dei suoi fine settimana in famiglia accompagna il padre medico nel giro giornaliero di visite ai suoi pazienti sparsi in alcune cupe valli dell’alta Stiria in Austria, o quello del padre-medico o del principe Saurau; il perturbamento è anche del lettore che già nella prima pagina del romanzo si trova immerso nell’atmosfera di dolore, di sofferenza che non gli darà scampo fino al termine e lo interrogherà direttamente sulle malattie del suo tempo, sulla pazzia di questo nostro tempo che quanto ad angosce e a sofferenze sciorina un catalogo aggiornata e fornito.
Il ventisei mio padre già alle due del mattino prese la macchina e andò a Salla, da un maestro che trovò morente e lasciò morto, e ripartì subito per Hullberg per curarvi un bambino che in primavera era caduto in un mastello per maiali pieno di acqua bollente… [a cui restava] ancora poco da vivere. (pag. 5)
Aprire un ambulatorio qui era un’impresa che rasentava la follia. Ma lui era abituato, ormai, a essere vittima di una popolazione malata fino al midollo, portata alla violenza e anche alla pazzia". (pag. 5)
Quello che c'è di essenziale in una persona viene alla luce soltanto quando dobbiamo considerarla perduta per noi,disse mio padre, nel momento in cui, ormai, questa persona può soltanto dirci addio. Ad un tratto, in tutto ciò che essa è ormai soltanto preparazione alla morte definitiva, questa persona può essere riconosciuta nella sua verità… un essere umano può sentirsi unito a un altro che ama soltanto quando quest'altro è morto, e davvero è entrato a far parte di lui (p. 25).
Nell’irresolutezza del rimanere tra passato e presente, nella volontà di distruggere il passato per poter vivere il presente, anche se il presente ha la faccia ottusa e i modi volgari dei valligiani o la lucida follia di quelli che come il principe, l’immobiliarista Bloch o l’industriale che vive isolato nei boschi, cercano tra quelle valli un ideale di purezza e di elevazione spirituale, forse in quell’irrisolutezza è l’origine del perturbamento.
Che non è, in ogni caso, senza speranza.
Bernhard ci fa intravedere, seppure in trasparenza, seppure sotto forma di inattesa anomalia, gli appigli che hanno tenuto i suoi personaggi aggrappati al presente: il successo negli affari dell’immobiliarista Bloch e dell’industriale-eremita votato alla riduzione e, infine, alla distruzione della stessa natura che lo circonda; la musica di Schubert per la signora Ebenhoh; i disegni surrealistici del maestro di Salla; ancora la musica per il giovane Krainer; per finire con i giornali del principe Saurau, vituperati perché inutili e menzogneri (raccontano sempre le stesse cose) per i quali ha una predilezione e sui quali il romanzo si chiude.
Già, disse il principe, mi procuri per favore un numero del "Times" del 7 settembre e me lo porti su la prossima volta che viene a trovarmi… (pag. 175).
Il romanzo è suddiviso in due parti. La prima segue il percorso del dottore, in compagnia del figlio, negli incontri con i pazienti: un lento sali e scendi lungo le valli per incontrare quell’umanità sofferente e malata, preda della propria “pazzia”. Ogni fermata una storia, un capitolo del destino comune, raccontato dal dottore a suo figlio e mostrato come testimonianza vivente della crisi del tempo. Parla e agisce solo il dottore, il figlio è un muto testimone, lo stenografo “quasi letterale” del suo racconto, così come lo sarà del lungo monologo del principe nella seconda parte. Il racconto del padre, per parole e immagini, forse è la risposta esemplificativa che il dottore dà alla lettera del figlio (alla quale non aveva risposto) in cui questi elevava, in un giovanile moto d’insoddisfazione, la sua protesta contro la brutalità della vita; ma è anche un aspetto del confronto tra padre e figlio, un altro dei temi significativi del romanzo.
La seconda parte è un lungo monologo del principe Saurau, l’ultimo paziente visitato dal dottore sul finire del giorno in cui si svolge il romanzo. Il principe Saurau clinicamente è un pazzo… un pazzo-filosofo che scandaglia senza sosta, in un profluvio interminabile di riflessioni, ogni aspetto della vita e delle relazioni umane. Il suo dire sembra razionale, organizzato, coerente, anche profondo, se non fosse per le premesse “malate” che lo sostengono: la morte, l’insensatezza …. :
Gli uomini non sono altro che una mostruosa comunità di morituri. (pag. 122)
La vita è una scuola nella quale si insegna la morte… Il mondo è la scuola della morte (pag.123);
e anche, è ovvio trattandosi di un pazzo, per l’incoerenza di molte delle massime che il principe sciorina nel suo tentativo di incasellare la vita e la morte, le passioni, la paternità, la scrittura, la scienza, la natura, in una supposta ripetizione stucchevole, in una insopportabile rappresentazione teatrale, sempre diversa ma sempre uguale a se stessa, nella quale a essere messo in scena è il dramma delle debolezze umane di cui gli uomini, tuttavia, non hanno contezza.
La natura è infatti… un mostruoso surrealismo universale. (pag. 144)
La realtà mi si presenta sempre come una rappresentazione orrenda di tutti i concetti esistenti. Effetti teatrali, penso sempre, in fuga davanti al pensiero, è così che penso sempre. Perché, comunque, ovviamente, siamo tutti condannati a pensare che non ci sia assolutamente nulla di reale. (pag. 150)
Tanto nella prima quanto nella seconda parte, ricorre il tema del rapporto tra i padri e i figli. Un rapporto irrisolto, come lo è stato quello tra l’Autore e il proprio padre fuggiasco. Un rapporto mitizzato nelle figure che per Bernhard hanno sostituito quella paterna (il nonno, lo zio) e che per questo, nella sua irresolutezza (un altro motivo di irresolutezza), lo porta a dire che:
Sempre il figlio finisce inevitabilmente per diventare più orrendo, molto più orrendo del padre (pag. 119).
Per i genitori avere dei figli è come avere una piaga insanabile che li deturpa per tutta la vita (pag. 167):
riproponendo l’originaria idea di un passato (i genitori, in questo caso) ricco di valori e grande di realizzazioni, contrapposto a un presente (i figli) orrendo, volgare e malato.Le pagine dedicate a questo tema, al rapporto del principe Saurau con il figlio, sono intense. Non lo sono da meno quelle che rievocano il rapporto dello stesso principe con il padre morto suicida e in aperto conflitto con il figlio da lui ritenuto un incapace. Al figlio il principe Saurau, pur paventandone l’intenzione di distruggere, lui un inconcludente studioso idealista, il patrimonio di famiglia, inconsciamente affida il compito, grazie al suo intervento distruttore, di emancipare il presente dal passato e di aprire un’era nuova in cui la tradizione non abbia più il sopravvento sulla modernità, perché la tradizione è solouna commedia recitata perfettamente e tuttavia insopportabile, una commedia ormai incomprensibile, che raggela le nostre risate nell'aria e raggela pure noi (pag. 160).
Per finire un accenno alla scrittura di Bernhard: una scrittura che è un esempio di limpidezza e di rigore stilistico. Il suo periodare è essenziale, le parole non concedono niente al superfluo, sono sempre quelle più utili e adeguate per rappresentare al meglio la realtà descritta o le sensazioni, i pensieri dei protagonisti. Bernhard sperimenta con effetti stilisticamente gradevoli. Il narratore, pur essendo esso stesso un personaggio del racconto, si rapporta alla storia in modo neutrale, quasi fosse un semplice verbalista e mantiene tale atteggiamento in tutto il romanzo, senza esprimere alcuna valutazione, alcun giudizio sulle questioni che annota.
Nella seconda parte, quasi i due terzi dell’intera opera, in cui il principe Saurau si esibisce nel suo lungo monologo quasi senza interruzioni dei suoi accompagnatori, il dottore e il giovane figlio, il registro narrativo adottato dall’Autore assume una configurazione particolare.
Quanto più credeva di dover sfuggire al mondo, tanto più, disse Saurau, finiva per cadere in sua balìa: «Noi pensiamo in maniera fantastica e siamo stanchi» disse. Avendo raggiunto «il più perfetto esaurimento possibile di ogni energia», lui, Saurau, aveva fatto scendere le tenebre su Hochgobernitz e Hochgobernitz alla fine aveva ottenebrato lui, Saurau. «Le analogie sono letali» è una frase decisiva, una delle frasi che ricorrono continuamente nei suoi discorsi. (pag. 92).
La sequenza delle proposizioni si struttura come un misto di discorso indiretto e discorso diretto, una fusione che sembra quasi naturale, in cui solo le virgolette permettono di individuare con certezza l’uno o l’altro tipo di espressione. Una struttura stilistica che ho notato per la prima volta in Bernhard, che non ho trovato in altri autori, e che mi sembra efficace ed elegante per rappresentare la scena. Perché a passeggio sulle doppie mura del castello di Hochgobernitz, la dimora del principe costruita su una spianata al termine di una lunga, stretta, inospitale gola, il principe non è solo. È accompagnato dal dottore e da suo figlio, e il giovane accompagnatore è anche il narratore, un narratore testimone diretto.
Non so se le osservazioni proposte sono sufficienti a descrivere la grandezza letteraria e la bellezza del romanzo di Thomas Bernhard. Perché Bernhard è davvero un grande scrittore e merita di essere letto, senza lasciarsi scoraggiare dall’ambientazione delle storie o dalla complessità dei temi proposti. Anche se leggerlo può essere impegnativo, è comunque un impegno ripagato ampiamente. A me ha dato sensazioni profonde, motivi di meditazione e un godimento estetico rinnovato a ogni pagina.
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