venerdì 26 gennaio 2024

Leuternia. Cronica di una Gigantomachia del nostro tempo infelice

PRESENTAZIONE

Genesi del romanzo

Un in-folio, quattro pagine a stampa databile alla seconda metà del ‘700 che rinviano a un manoscritto (perduto) del XIV secolo.

Quattro pagine scritte in dialetto rinvenute, insieme a poche altre, in un inutile scartafaccio di un’antica famiglia nel corso delle ricerche per la compilazione della tesi di laurea. Sono rimaste silenti tra le mie carte per emergere dopo molti anni, in occasione di un lavoro di pulizia dell’archivio.

Sembra l’inizio di una cronaca e tale si conferma leggendo anche gli altri in-folio utilizzati come improvvisati contenitori di documenti vari.                                          

Pochi e frammentari, ma sufficienti a stimolare il mio desiderio di completare la vicenda che i limitati riferimenti fanno intuire.

Ho dovuto lavorare di fantasia per imbastire un intreccio sostenibile, però il contesto era tracciato e sufficientemente strutturato. Il sottotitolo del romanzo: “Cronica” di una Gigantomachia del nostro tempo infelice ne dichiara con tutta evidenza il contenuto.

L’esplicito riferimento alla Gigantomachia è, tuttavia, un indizio fuorviante e parziale perché differenti ne sono i presupposti e le motivazioni rispetto alle intenzioni e agli obiettivi perseguiti dall’estensore della Cronica.

 

 

Il mito

 

Il mito celebra la vittoria degli dei olimpici guidati da Zeus (Giove) sui mostruosi Giganti che avevano tentato l’assalto all’Olimpo per spodestarli e «ripristinare il perduto ordine cosmico primigenio sconvolto dal nuovo ordine olimpico che li declassa a ottuso simbolo di una superbia cieca ed empia e li punisce imprigionandoli nel centro infernale della Terra»[1].

Celebra anche, e direi soprattutto, il patto tra gli dei immortali (che rappresentano la virtù e la ragione di cui Atena, dea della sapienza, e Apollo, dio delle scienze, delle arti e dell'intelletto, sono i campioni) e gli uomini mortali come effetto del decisivo contributo dato da Heracle (Ercole, mortale, in quanto generato da Zeus con la mortale Metis) alla causa degli dei e alla vittoria sui Giganti.

Cosa ne era stato di quel patto nel corso della storia? Cosa era rimasto di quella promessa di equilibrio cosmico e di benessere con cui era stata celebrata la vittoria degli dei olimpici e la sconfitta dei Giganti?

La sconfitta dei Giganti aveva causato due effetti, ambedue negativi:

·    la volontaria sottomissione degli uomini al volere degli dei – che non era collaborazione e compartecipazione come un’alleanza imporrebbe – suggellandone il definitivo asservimento;

·    la convinzione degli uomini di avere il dominio incontrastato e totale sulla natura.

Nel corso dei millenni successivi, emerse in termini sempre più evidenti la fallacia di quegli inizi.

La soggezione degli uomini agli dei divenne il grimaldello per giustificare le diseguaglianze sociali, mentre il rapporto di dominio degli uomini sulla natura alimentò l’uso dissennato delle risorse naturali e la conseguente ribellione della natura.

 

Se in origine la condizione di assoggettamento degli umani agli dei poteva essere vissuta come il prezzo della protezione contro le avversità della vita, pagato con i sacrifici e le preghiere, col passare del tempo assunse forme diverse, gestite da intermediari, umani essi stessi, che interpretarono le volontà e le decisioni divine e, in genere, se ne avvalsero per fini personali e del tutto materiali.

La lotta tra dei e giganti era stata lotta bruta per il potere, come lo era quella tra i re, tra i feudatari nell’età di mezzo, tra l’imperatore ed il papa, tra i partiti politici nell’età moderna, e in questo tipo di lotta i popoli hanno sempre da perderci se restano inermi, semplice massa di manovra, e non partecipano alla lotta per conquistare essi stessi (e per sé) il potere. Purtroppo c’è sempre qualche Heracle che con le sue azioni contribuisce a mantenere il potere nelle mani della casta che già lo detiene, fingendo un sovvertimento e un cambio di personale al comando. Né si può dire, se non con qualche eccezione, pur se differenti ne sono le modalità e le forme, che la situazione sia sostanzialmente diversa nel nostro tempo non meno infelice di quello in cui viveva l’estensore della Cronica.

Fuori dalla metafora del mito, è di questo annoso e irrisolto problema che parla la Cronica, di una lotta di potere nella quale lo schema della Gigantomachia è stravolto. Heracle (Alcide) si avvede della meschinità dei potenti, si schiera dalla parte del popolo e insieme ad altri giusti: Damiano, Ignazio (Prometeo), Medardo, Giovanni e altri meno noti, cerca di sollevarne le sorti. Che il tentativo non abbia prodotto effetti immediati è secondario, importanti sono il suo lascito e lo strascico che lo ha vivificato, anche se con ritardo e solo parzialmente.

 

Il secondo effetto era poco avvertito al tempo della Cronica, se non indirettamente, a posteriori e come reazione spaventata all’insorgere delle catastrofi naturali (terremoti, inondazioni, carestie ecc.). Oggi forse inizia a diffondersi una timida consapevolezza del rapporto tra l’uso dissennato delle risorse naturali e lo squilibrio ecologico del pianeta non più in grado di autorigenerarsi e di garantire la sopravvivenza delle specie animali e vegetali, nonché le condizioni che hanno reso possibile la vita sulla Terra.

Ed è proprio per il nesso esistente tra le vicende della fonte Fetida di Leuternia nel tempo contemporaneo e tale problema di inconsapevolezza e di comportamenti antiecologici che ho pensato di inserire un’appendice contemporanea alla Cronica. Nell’appendice si parla della condizione attuali della fonte Fetida (ma non solo) e dei riflessi sulla vita della collettività che con essa e di essa ha vissuto e vorrebbe continuare a vivere.

L’ho fatto nella forma consona al contesto narrativo in cui l’appendice s’inserisce, ma non è puro frutto di fantasia, vuole essere una riflessione e un richiamo per tutti quelli che hanno a cuore i destini di Leuternia e dell’intera Gaia e soprattutto per quanti hanno avuto, hanno e avranno ruoli pubblici e responsabilità politico-amministrative nei confronti dei territori e delle collettività che li abitano.

 

 

La trama

 

La storia di Leuternia nella seconda metà del XIV secolo fu segnata da un fenomeno a prima vista inspiegabile. Poi compresi che inspiegabile non era. C’è voluta un’intera vita per trovarne il bandolo, ma alla fine la verità è venuta a galla e fu essa a segnare il mio destino. Emerse lentamente proprio come quello strato lattiginoso che un bel giorno cominciò a fuoriuscire dalla grotta, poco più di una fenditura nella roccia dell’ardua scogliera sottostante la residenza del conte, a picco sul mare. Non erano soltanto il colore biancastro e la consistenza filamentosa a sorprenderci, quanto il fetore nauseabondo, come un concentrato di uova marce lasciate a lungo a macerare in una giara.

 

L’incipit del romanzo mette in primo piano un fenomeno naturale inspiegabile e lo collega alla vicenda del popolo di Leuternia vessato da un feudatario avido, arrogante e violento.

L’intreccio segue lo schema tramandatoci dal mito della Gigantomachia e si sviluppa a partire dalla contesa dinastica tra il conte Patruno, titolare del feudo di Leuternia, e i fratelli Giganti suoi parenti che si ritenevano ingiustamente e violentemente defraudati del diritto di successione.

All’interno dello schema classico l’estensore della Cronica inserisce un ulteriore protagonista che ne modifica gli sviluppi e anche gli esiti. La variante è il popolo di Leuternia rappresentato da alcuni personaggi, in primis Damiano Polifemo, promotori di una rivolta popolare contro il conte Patruno per liberarsi dal giogo della servitù e realizzare l’autogoverno della contea, almeno nelle forme in quel tempo possibili.

Nella sordida lotta per il potere tra Patruno e Giganti il terzo incomodo introduce elementi di umanità riflessiva e consapevole che valorizzano non solo l’autonomia e l’autodeterminazione dei cittadini di Leuternia, ma umanizzano anche il ruolo di quel Heracle che nella Gigantomachia era stato lo strumento per asservire l’umanità e far primeggiare gli dei olimpici. Nella Cronica l’Alcide-Heracle, dopo una prima fase in cui si mette al servizio del conte, è indotto dalle circostanze, e grazie all’amicizia che lo lega ad un altro personaggio del mito, l’Ignazio-Prometeo protettore dell’umana stirpe, a mettere la sua forza al servizio della rivolta popolare.

L’epilogo della Cronica sarà determinato dall’interazione delle forze in campo e da una serie di circostanze casuali e imponderabili; però, qualunque ne sia l’esito, un messaggio positivo, chiaro e forte le azioni e le vite degli eroi sconosciuti di questa storia ce lo rimandano. Ed è un messaggio di amore per la libertà e la giustizia, agognate e difese anche a costo della propria vita, per scardinare l’egoistica e ottusa resistenza dei potenti che cercano di mantenere le loro posizioni con tutti i mezzi: col sangue (polizia), l’astuzia (moda), l’incantesimo (sfarzo)[2].

 

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[1] Giacomo Rabbachin, in https://lastland.org/2017/07/24/il-mito-della-gigantomachia/

[2] Walter Benjamin, Parigi capitale del XIX secolo.



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