Recensione di Antonio ELIA
L’idea di scrivere il romanzo, come Nadia ricorda nella prefazione, nasce dall’esperienza del corso di formazione “Start the change” proposto agli studenti e agli insegnanti dell’ITC Bonelli di Cuneo dall’Aps Micò, una giovane associazione che si occupa prevalentemente dell’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo, e anche di sensibilizzazione e promozione sociale sui temi delle migrazioni e dell’intercultura.
Non a caso, credo, il romanzo è idealmente dedicato “Ai ragazzi che non si arrendono anche quando giunge la notte” e ruota principalmente intorno alla figura di due protagoniste, madre e figlia, Mara e Amma, rappresentanti delle due categorie sociali alle quali il corso era rivolto.
Per inquadrare il romanzo è utile dire che si tratta di una narrazione distopica che, seppure ambientata nel
2065, parla del nostro tempo e inquadra con chiarezza e lucidità i problemi di oggi, accumulati negli ultimi cinquanta anni, i cui sviluppi sembrano andare nella direzione indicata nel lavoro letterario di Nadia. Conosciamo diverse opere letterarie e cinematografiche che hanno immaginato mondi e situazioni del tipo ipotizzato da “Lo Sfregio”. Mi sovvengono, per esempio, romanzi come:Largo! Largo! (1966) di Harry Harrison, scrittore poco conosciuto il cui lavoro però ha ispirato uno dei film più interessanti del genere distopico, quel 2022: i sopravvissuti (titolo originario: Soylent green, 1973);
Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Strugatski (1972) che ispirò il famoso film Stalker (1979) del regista Andrej Tarkovskij;
Il cacciatore di androidi, (1968) di Philip Dick, meglio conosciuto come Blade runner dal film di Ridley Scott (1982);
Aggiungo anche il romanzo di Margaret Atwood, Il racconto dell’ancella (e il suo sequel I testamenti) da cui è stata tratta l’omonima serie televisiva.
Due caratteristiche hanno in comune tutti questi romanzi: le difficoltà, seppure per ragioni differenti, di vivere sulla Terra; la crisi profonda della democrazia soppiantata da autocrazie autoritarie o dall’anarchia caotica del non governo in cui prevalgono i violenti e le organizzazioni criminali.
Queste sono anche le caratteristiche di fondo de Lo sfregio.
Romanzo distopico, dicevo, ma non fantascientifico. S’intravedono, è vero, alcune evoluzioni di tecnologie in uso: il multiphone, il visore, l’auto volante, che nel prossimo cinquantennio potrebbero diventare realtà; di fatto nulla di diverso da oggi, se non la mutata, catastrofica condizione ambientale e sociale. La volontà e lo sforzo di rimanere ancorata alla realtà contemporanea, che resta sullo sfondo in tutta la narrazione (i ricordi tramandati dai nonni, i libri e le riviste collezionati da Mara, i continui riferimenti ai decenni precedenti la crisi climatica, le tendenze politiche in atto), sono la testimonianza che Nadia ha voluto proiettare il presente nel futuro prossimo per metterci con le spalle al muro; con la sua critica implicita delle tendenze in atto ha voluto richiamare l’attenzione sulla direzione che potrebbe prendere il corso degli eventi.
Per questo ritengo di poter affermare che il lavoro di Nadia è un lavoro necessario in cui tutti possiamo trovare spunti per comprendere meglio il mondo di oggi e di domani, per renderci consapevoli e convincerci a fare scelte e adottare comportamenti finalizzati a invertire o almeno contenere le tendenze in atto. Innanzitutto i giovani, ai quali il romanzo è dedicato, ma anche i meno giovani che in qualche modo sono (siamo) corresponsabili della possibile catastrofe.
I primi capitoli del romanzo descrivono la condizione del mondo nel 2065, una situazione catastrofica che razionalmente potremmo ritenere persino eccessiva, eccessivamente catastrofica e negativa se considerata con occhi contemporanei. Però eccessiva non è se inquadrata nella cornice della finzione letteraria che la contiene. La finzione letteraria per suo implicito statuto è una sorta di lente d’ingrandimento che nello svolgimento della vicenda narrata, seppure limitata al particolare di un ristretto numero di soggetti (i personaggi del romanzo), osserva, con maggiore libertà e meno vincoli di un’indagine sociologica, non solo i fatti, ma anche le relazioni umane e i sentimenti, l’anima dei personaggi, le aspirazioni, le paure, i desideri, per dar conto della complessità in cui ogni soggetto interagisce, ogni evento si manifesta.
Ed è appunto questo sguardo a più dimensioni che ci consente di comprendere meglio i fenomeni che rappresentano l’antefatto del romanzo, l’ambiente profondamente degradato e corrotto in cui agiscono i personaggi.
La catastrofe descritta nel romanzo – un mix micidiale di fattori: inquinamento, riscaldamento globale, inondazioni e innalzamento del livello dei mari, guerre, pandemie ecc. – ha riportato il mondo in una sorta di nuovo medioevo. Le condizioni sociali, politiche ed economiche sono precarie e incerte, la sicurezza personale e i diritti sono ricordi dolorosi, il territorio è infestato da bande armate che terrorizzano e saccheggiano, lo Stato è impotente. L’angoscia suscitata da tale stato di fatto permea tutto il romanzo, così come i cambiamenti climatici che hanno devastato il territorio e la vita degli esseri viventi.
Nella tragedia, tuttavia, c’è qualcuno, certo una minoranza, che non si dà per vinta, che opera in controtendenza. Questo attivismo, questa resistenza è la nota di speranza che al temine del romanzo fa dire a Mara: “Sai cosa penso? Che finché nasce un albero, un capretto o un lupo, la morte non c’è, c’è solo la vita”, e aggiunge: “La vita è bellezza ed è il bene maggiore”.
Alla quale Matteo, il suo amico d’infanzia e protettore, risponde: “L’universo è grande Mara. Ci sarà ancora bellezza”.
All’interno di questo quadro si inserisce la complessa vicenda di Mara e della sua famiglia, narrata nel romanzo, una vicenda dolorosa e triste che si svolge in un crescendo di tensioni e di situazioni tragiche che tuttavia non riescono a sopraffare la speranza. Al lettore il compito di ricostruirla e di trarne i significati e i messaggi che Nadia ha affidato alla pagina scritta.
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