giovedì 20 marzo 2014

Recensione di Laura Mangialardo

QuiSalento • 1-15 GIUGNO 2014

               ANDAVAMO LONTANO

La via dei migranti

In una delle ultime pagine del suo libro “Andavamo lontano”, Antonio Elia cita Alassane, con la sua speranza per il futuro che “non potrà che essere migliore del presente, oggi viviamo un tempo di chiusure nazionalistiche di egoismo sociale di pressioni xenofobe ma si tratta di atteggiamenti anacronistici che contrastano con le reali tendenze del mondo contemporaneo”. Le reazioni possibili: un’ulteriore chiusura nei confronti dei migranti e quella opposta di collaborazione.

La storia raccontata in questo romanzo di Antonio Elia parte da lontano, ma neanche troppo, da quegli anni in cui i nostri connazionali pativano la fame e l’unica via d’uscita era lasciare l’Italia, lasciare il sud, muoversi verso paesi che offrivano maggiori possibilità lavorative. In realtà, se questo fosse un film, si capirebbero le differenze con il presente, solo dal color seppia delle immagini. Quale speranza di miglioramento e collaborazione si può nutrire in una società che vede un ex ministro per l’integrazione scherzare con le banane per giustificare il suo colore nero di fronte ai leghisti? L’utopia è l’unico posto in cui l’uomo migliora se lo “straniero” è sempre stato il diverso, quello da emarginare e di cui aver paura. “Per Mario ragazzino (…) prima che gli Albanesi si riversassero sulle nostre coste gli Albanesi non esistevano”, racconta l’autore, eppure in questo
mondo tecnologico e globalizzato continua ad esserci per i più, una cultura chiusa al proprio orto.
“Andavamo lontano”, il titolo del romanzo, coniugato all’imperfetto, coinvolge in diversi paralleli racconti cominciati ma che continuano in un intreccio di povertà e soprusi, in un’Italia con valigie di cartone e in quella delle coste salentine che salutano le terre di oltremare.
Il libro edito da Manni segue sicuramente una linea editoriale impegnata e attenta, non è un racconto leggero, né da leggere nei momenti morti. È come fosse un documentario su come eravamo e come siamo oggi, una ripresa darwiniana di un uomo che in fondo fa solo finta di evolversi. Ricorsi storici che non migliorano ma che continuano a far male. 

1 commento:

  1. Una lettura scomoda
    Andavamo lontano di Antonio Elia è una lettura scomoda. Perché siamo italiani. Quel titolo all'imperfetto, andavamo, e la copertina con foto d’epoca le consideriamo storie vecchie, non ci appartengono. Ancor più che scomoda: scomodissima. Perché Antonio Elia ci insegna che le crisi economiche si sono sempre risolte migrando. Mentre la lettura scorre non possiamo fare a meno di leggere anche tra le righe che siamo tutti migranti. "Esuberi, dicevano gli economisti, ingranaggi arrugginiti e obsoleti (...). Anime che si aggrappavano alla vita e trasmigravano spopolando i paesi attraversati dalle corriere" (p.33): ecco un saggio della potenza espressiva di questa scrittura. Sofferta, però, ansiosa di riuscire a dire tutto senza dimenticare nulla. La narrazione si svolge in tre parti: Settembre andiamo, Lecce Torino solo andata, Vengono da lontano. Si tratta di nuclei tematici autonomi ma non slegati, tenuti insieme dal racconto di arrivi e partenze, da una scrittura priva di enfasi e vuota di retorica di consumo, ubriaca quasi delle sue stesse parole, ansimante, povera di pause come il respiro di chi sfida la morte blu di notte su uno scafo lungo le rotte dell’Adriatico. I personaggi ci conquistano. Per tutti citiamo il giovanissimo Tarik e il suo viaggio dal Marocco a Parigi a Torino. Un adolescente che vive il presente, come tutti gli adolescenti, non molto diverso, in fondo, dai ragazzi ai quali vende lo sballo di una sera. Ma la sua è una storia che finisce bene. Altrove sono le donne bosniache a sedurci, a tal punto le sentiamo vicine che ci sembra di conoscerle da tempo. Siano italiani del sud che vanno al nord, siano italiani del nord e del sud che vanno in Belgio o in Germania, siano albanesi o slavi o senegalesi o nigeriani, i migranti di questa epopea hanno tutti lo stesso sogno: alberga nel loro cuore la voglia di riscatto, il senso epico del ritorno. E’ quando nella narrazione irrompe la violenza della storia che il livello della tensione aumenta. 2 agosto 1980: attentato alla stazione di Bologna. Il narratore non riesce più a sfuggire all’orgia delle parole che sbocciano continue. E la politica, la filosofia, la grande storia del nostro paese trovano un senso intrecciati alle piccole, e per certi versi anonime, storie dei protagonisti. Andavamo lontano ci lascia in eredità un vocabolario in una valigia di cartone: accoglienza, integrazione, tolleranza, cittadinanza, diritti, tutela, scuola e istruzione, ascolto, lavoro sono le parole chiave di una lettura faticosa ma necessaria. Per ricordare chi eravamo noi, per capire chi sono loro. Andavamo lontano racconta la nostra storia. Siamo ancora migranti, sia pur con una laurea in tasca...

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