Non volevo leggere Elena
Ferrante perché di fronte agli scrittori troppo celebrati e troppo prolifici mi
prende una diffidenza incontrollata. Che non è un moto intellettuale spontaneo
e snobistico, è, piuttosto, una risposta conscia alle politiche culturali delle
grandi case editrici.
Perché l’ho letto? Perché
il dubbio è sempre in agguato e ti interroga e ti dice che la tua può essere
invidia o superbia, che, in fondo, se quell’autore ha avuto successo un motivo
ci sarà; se dai suoi libri ci traggono dei film di successo un motivo ci sarà.
E allora ti lasci
convincere e inizi la lettura dal primo romanzo, perché credi che nel primo
lavoro di un autore siano presenti, magari solo in bozza e in potenza tutte le
sue qualità, la sua cifra narrativa. Ed è vero.
Prima, però, vai a leggere
un po’ di lavori critici sull’opera omnia dell’autore. Leggi l’intervista (che
ho molto apprezzato) rilasciata a Nicola Lagioia, gli articoli di Chiara Farris
pubblicati sul Blog “Nazione Indiana”, di Viviana
Scarinci in “Letterate Magazine” e vari
altri di cui vi risparmio gli estremi.
In effetti ho letto solo giudizi che
elogiano la grandezza dell’autore, la sua capacità di imbastire storie vere, avvincenti
e cariche di significati d’ambiente-sociali-psicologici-di genere-ecc.; che
sottolineano l’eleganza e la ricercatezza della scrittura, la capacità di
“smarginare” situazioni e personaggi per comprendere “il mondo che si scolla,
…va fuori asse mostrandosi nella sua insostenibile nudità… priva di senso; di
cogliere gli “attimi rivelatori”, che si palesano “ogni volta terribili”.
Di fronte a tanto non potevo che
rilassarmi e predispormi sereno alla lettura.
Ci ho impiegato sei ore. Non di
seguito, spalmate su quattro giorni, di pomeriggio, steso sul mio divano. Solo
una volta ho ceduto per un attimo al sonno, che è già un buon risultato:
d’estate, dopo pranzo, la lettura concilia se non è interessante, se non ti
prende. Ma una volta ci son caduto e anche questo è un segno: come il primo
sbadiglio dell’imperatore d’Austria Giuseppe II nell’Amadeus di Miloš Forman.
Cioè: la storia è congegnata in modo
avvincente, in qualche modo ti prende; e se ti fermi alla storia, alla sequenza
di eventi che vuoi sapere come va a finire, non ci sono problemi, il racconto
tiene. Con qualche leggerezza di troppo sulla plausibilità di certe scene o di certi
comportamenti dei protagonisti o di certe epifanie. Sui quali si può sorvolare,
perché, in definitiva, un racconto è un’invenzione di fantasia, le situazioni
poco plausibili, oniriche (come ha detto qualcuno), frutto dell’immaginazione
deformante dello stesso “io” narrante, sono del tutto accettabili.
Ciò che, a mio avviso, è meno accettabile
è lo stile un po’ artificioso.
Mi spiego: si ha l’impressione, non
sporadica, che la lettura sia frenata da frasi messe lì per colpire il lettore,
per irretirlo con l’eleganza di un’espressione, per puntualizzare o ornare ciò
che dovrebbe essere già chiaro e compiuto. A scapito della fluidità del testo e
della spontaneità della scrittura. Non voglio dire, sia chiaro, che la frase
non vada costruita e pensata, levigata e tornita per renderla funzionale alla
rappresentazione, ma qui ho l’impressione che si vada oltre e quel fastidio,
l’impressione di artificiosità, affatica la lettura.
Qui va fatto qualche esempio, solo
qualche esempio.
“Mi
sforzai di sorridergli, sicuramente per rabbonirlo ma anche per allontanare l’impressione
di aver perso il governo del mio viso, di averne uno che era l’adattamento di
quello di Amalia”: si perde il governo del proprio viso se si assume una
qualche espressione? Oppure è il contrario? E poi: si può governare un viso?
E che dire del muro di un “colore fresco, appena strizzato”? E di
quest’altra proposizione “Per un attimo
pensai con orrore a maschi e femmine come organismi viventi, e mi immaginai un
lavoro di bulino ecc.”, del tutto inconferente con il testo che la precede?
Solo pignolerie? Ipercriticismo?
Può darsi, ma a me la lettura de “L’amore molesto” ha lasciato questo
retrogusto come di un bicchiere di buon vino che sa di tappo.
Per sondare gli umori del pubblico
che ha decretato il successo del romanzo sono andato a curiosare tra i siti che
pubblicano le recensioni dei lettori e ho scoperto, udite udite, con una certa
sorpresa, che una buona metà dei recensori ha espresso molte perplessità dando
giudizi non positivi o decisamente negativi.
Ne riporto tre, tratti dal sito www.anobii.com, che a mio avviso colgono elementi di critica di un
certo interesse:
Valeria
Corrias
“Una donna che girovaga per tutta Napoli
sporca di sangue mestruale, di sperma, sudore e pioggia, vestita
inadeguatamente con vestiti non suoi ma forse si, che tenta di capire e svelare
la morte della madre.
Una storia scialba, fatta di situazioni difficilmente realistiche (tipo il pranzo all'hotel e tutta la scena di sesso, davvero, non le puoi scrivere ste cose).
Brutto, brutto, brutto libro.
Avevo letto l'amica geniale e non mi era piaciuto ma ho pensato di prendere questo per capire, perché non era mi era proprio chiaro perché non mi era piaciuto. Ecco un chiaro esempio di salto dalla padella nella brace”.
Una storia scialba, fatta di situazioni difficilmente realistiche (tipo il pranzo all'hotel e tutta la scena di sesso, davvero, non le puoi scrivere ste cose).
Brutto, brutto, brutto libro.
Avevo letto l'amica geniale e non mi era piaciuto ma ho pensato di prendere questo per capire, perché non era mi era proprio chiaro perché non mi era piaciuto. Ecco un chiaro esempio di salto dalla padella nella brace”.
Cynthia
Collu
“Scrittura sciatta, romanzo sfilacciato,
ricordo solo il disgusto della protagonista (ohibò!) verso il corpo femminile e
i suoi umori (mestruazioni e muco vari), per il resto è stata una sorda
irritazione per un romanzo che non ha nulla da dire e quello che dice a mio
avviso lo dice male. Decisamente un NO”.
Michele
Pinto
“Questo libro dimostra come i bambini che
hanno assistito alla violenza del padre sulla madre ne restano segnati per
sempre. Ad esempio perdono la capacità di scrivere un libro decente.
Dispiace fare dell'ironia su un tema così triste ed importante, ma la Ferrante non è assolutamente all'altezza del compito che si è proposta, la descrizione della storia è quasi inconsistente, i pensieri della protagonista difficilmente riescono a coinvolgere”.
Dispiace fare dell'ironia su un tema così triste ed importante, ma la Ferrante non è assolutamente all'altezza del compito che si è proposta, la descrizione della storia è quasi inconsistente, i pensieri della protagonista difficilmente riescono a coinvolgere”.
Ma è soltanto il primo romanzo della
Ferrante, mi sono detto. I successivi, e in particolare la quadrilogia, saranno
di sicuro più vigili e attenti alle sfumature e alle contraddizioni.
E mi sono ripromesso di leggere
almeno il primo volume della quadrilogia.
Vi terrò informati. Se vi interessa.
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