“Da dove mi arriverà
l’impressione che alla casa, sebbene uguale, manchi quasi tutto? I vani sono
gli stessi con gli stessi mobili e gli stessi quadri, eppure non era così, non
era questo, vecchie fotografie al posto di mia madre, di mio padre, delle domestiche
in cucina e della tosse di mio nonno che comandava il mondo…”
L’incipit di questo romanzo incredibile (denso e
per certi versi sperimentale) dello scrittore lusitano António Lobo Antunes introduce il lettore
nel vivo di una vicenda familiare lunga tre generazioni, dal nonno al nipote
autistico (il narratore principale, sostituito nell’ultimo capitolo dalla voce
di altri cinque protagonisti), a partire dall’epilogo, quando i personaggi che
hanno affollato la vecchia tenuta di famiglia sono oramai solo un ricordo
impresso nelle sbiadite fotografie appese alle umide e scrostate pareti della
casa padronale.Da lì, da quello sguardo muto e incerto, ma in fondo il più
presente e attento, in un rincorrersi di ricordi disordinati e parziali, la
trama si definisce per approssimazioni successive, come la composizione di un
puzzle. Il lavoro di ricomposizione, lento e faticoso per il narratore, frenato
dall’introversione che lo isola dal resto della famiglia, sollecita la
consapevole partecipazione del lettore. Ma forse è proprio questa la chiave che
gli apre le porte per descrivere con lucido lirismo, tra violenza e tenerezza, una
vicenda in sé dura, a tratti crudele, in cui spicca la figura del
patriarca-padrone “che comanda il mondo”, abusa delle domestiche, tiranneggia i
dipendenti con la complice accondiscendenza dell’amministratore e dell’aiutante
di questi (figlio illegittimo del patriarca?), con i quali condivide le donne,
ai quali ordina l’esecuzione di atti nefandi. In cui, per contrasto, si
definisce la debole personalità del figlio legittimo, continuamente umiliato dal
padre (idiota!), che ne insidia anche la moglie (già giovane domestica “usata”
come tutte le altre). “Idiota” anche uno dei due nipoti (figlio illegittimo
anch’esso?); non l’altro, a cui è destinato il governo della tenuta. Investitura
di fatto rifiutata con l’abbandono della tenuta e il trasferimento a Lisbona
con il fratello “idiota”, di cui si prenderà cura fino a quando, vinto dal peso
dell’esistenza, non cede al richiamo (immaginario) della cugina Hortelinda (una
personalizzazione domestica e bonaria della morte) uscendo di scena e ponendo
fine al romanzo (e alla sua vita?) con una malinconica osservazione:
Fra poco è mattina, e non sarà mai mattina.
Funzionale
alla struttura narrativa è la
straordinaria creatività espressiva della scrittura che, immergendosi nella
complessità tormentata del narratore, si avvale di una prosa non convenzionale,
frasi non completate, discorsi incompiuti, associazioni di eventi che si
accavallano in un rincorrersi indisciplinato, eppure facilmente collocabili sulla
linea del tempo reale; una narrazione circolare in cui gli stessi eventi
ritornano più e più volte, osservati da visuali diverse per cogliere ogni volta
sfumature nuove, per recuperare frammenti dispersi nella memoria che
faticosamente illuminano il ricordo, riaffiorano dalle profondità della psiche.
Il ricordo è guidato dalla reiterazione paranoica di frasi e gesti dei
protagonisti, elementi ricorrenti che si fanno collante e filo conduttore,
pietre miliari dell’intero sviluppo narrativo, quasi a caratterizzare la vita
sospesa nel tempo (e nella memoria) degli abitanti della tenuta e della natura
che la circonda (i nibbi, le rane, la palude, la frontiera, i campi di grano e
di segala).a
Un romanzo impegnativo, in
conclusione, conforme a quello che è stato il programma di scrittura
dell’autore che ha dichiarato di aver scritto “libri per adulti che tengono gli occhi aperti”; mentre
a chi gli rimproverava la difficoltà di comprendere i suoi romanzi, rispondeva:
“Ciò che non capiscono non è questo o quel romanzo, ma la complessità della
vita, e questo non è un mio problema”.
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