lunedì 7 gennaio 2019

UN LIBRO AL MESE - Recensione di Antonio ELIA



“Da dove mi arriverà l’impressione che alla casa, sebbene uguale, manchi quasi tutto? I vani sono gli stessi con gli stessi mobili e gli stessi quadri, eppure non era così, non era questo, vecchie fotografie al posto di mia madre, di mio padre, delle domestiche in cucina e della tosse di mio nonno che comandava il mondo…”
L’incipit di questo romanzo incredibile (denso e per certi versi sperimentale) dello scrittore lusitano António Lobo Antunes introduce il lettore nel vivo di una vicenda familiare lunga tre generazioni, dal nonno al nipote autistico (il narratore principale, sostituito nell’ultimo capitolo dalla voce di altri cinque protagonisti), a partire dall’epilogo, quando i personaggi che hanno affollato la vecchia tenuta di famiglia sono oramai solo un ricordo impresso nelle sbiadite fotografie appese alle umide e scrostate pareti della casa padronale.Da lì, da quello sguardo muto e incerto, ma in fondo il più presente e attento, in un rincorrersi di ricordi disordinati e parziali, la trama si definisce per approssimazioni successive, come la composizione di un puzzle. Il lavoro di ricomposizione, lento e faticoso per il narratore, frenato dall’introversione che lo isola dal resto della famiglia, sollecita la consapevole partecipazione del lettore. Ma forse è proprio questa la chiave che gli apre le porte per descrivere con lucido lirismo, tra violenza e tenerezza, una vicenda in sé dura, a tratti crudele, in cui spicca la figura del patriarca-padrone “che comanda il mondo”, abusa delle domestiche, tiranneggia i dipendenti con la complice accondiscendenza dell’amministratore e dell’aiutante di questi (figlio illegittimo del patriarca?), con i quali condivide le donne, ai quali ordina l’esecuzione di atti nefandi. In cui, per contrasto, si definisce la debole personalità del figlio legittimo, continuamente umiliato dal padre (idiota!), che ne insidia anche la moglie (già giovane domestica “usata” come tutte le altre). “Idiota” anche uno dei due nipoti (figlio illegittimo anch’esso?); non l’altro, a cui è destinato il governo della tenuta. Investitura di fatto rifiutata con l’abbandono della tenuta e il trasferimento a Lisbona con il fratello “idiota”, di cui si prenderà cura fino a quando, vinto dal peso dell’esistenza, non cede al richiamo (immaginario) della cugina Hortelinda (una personalizzazione domestica e bonaria della morte) uscendo di scena e ponendo fine al romanzo (e alla sua vita?) con una malinconica osservazione: Fra poco è mattina, e non sarà mai mattina.
Funzionale alla struttura narrativa è la straordinaria creatività espressiva della scrittura che, immergendosi nella complessità tormentata del narratore, si avvale di una prosa non convenzionale, frasi non completate, discorsi incompiuti, associazioni di eventi che si accavallano in un rincorrersi indisciplinato, eppure facilmente collocabili sulla linea del tempo reale; una narrazione circolare in cui gli stessi eventi ritornano più e più volte, osservati da visuali diverse per cogliere ogni volta sfumature nuove, per recuperare frammenti dispersi nella memoria che faticosamente illuminano il ricordo, riaffiorano dalle profondità della psiche. Il ricordo è guidato dalla reiterazione paranoica di frasi e gesti dei protagonisti, elementi ricorrenti che si fanno collante e filo conduttore, pietre miliari dell’intero sviluppo narrativo, quasi a caratterizzare la vita sospesa nel tempo (e nella memoria) degli abitanti della tenuta e della natura che la circonda (i nibbi, le rane, la palude, la frontiera, i campi di grano e di segala).a
Un romanzo impegnativo, in conclusione, conforme a quello che è stato il programma di scrittura dell’autore che ha dichiarato di aver scritto “libri per adulti che tengono gli occhi aperti”; mentre a chi gli rimproverava la difficoltà di comprendere i suoi romanzi, rispondeva: “Ciò che non capiscono non è questo o quel romanzo, ma la complessità della vita, e questo non è un mio problema”.

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